[Aufruhr n.3] Siamo tutti sulla stessa barca?, Gennaio 2013

Traduzione dell’articolo «sitzen wir alle im selben Boot?» del primo numero di Aufruhr [Tumulto], giornale d’agitazione mensile di Zurigo.

Siamo tutti sulla stessa barca?

tumblr_lmbzitUGvs1qzsuffo1_1280rielaborataIntroduzione

 Essere in conflitto è una parte dell’individuo, della sua relazione con se stesso, con gli altri individui e con il mondo che lo circonda. Negare questo fatto significa non solo negare la possibilità dell’esistenza di interessi diversi e inconciliabili tra differenti individui, ma negare anche la stessa individualità.

In una società il conflitto sorge quando gli interessi di una o più parti della società si trovano in contrasto con gli interessi del resto della società. Questi interessi possono essere i più differenti, possono per esempio spaziare dal semplice miglioramento delle proprie condizioni di vita alla ricerca di una vita completamente differente.

Nella società in cui viviamo, il conflitto sociale sembra sempre meno presente o perlomeno che si esprima meno chiaramente rispetto ad altre epoche. L’assenza o la poca visibilità di questo conflitto in una società può avere due significati: il primo è che non esistano particolari divergenze di interessi all’interno della società, questo significherebbe quindi essere arrivati al capolinea della storia, l’aver raggiunto una società perfetta dove gli interessi coesistano armonicamente. Il secondo invece è quello di vivere in una società pacificata, dove il conflitto viene attenuato, invisibilizzato e gestito in modo da non potersi esprimere apertamente in tutta la sua estensione o semplicemente che si esprima altrove.

Noi anarchici crediamo di essere ancora ben lontani dalla risoluzione della questione sociale, al contrario ci troviamo ancora agli albori della storia della libertà. Per questo crediamo che il significato che dobbiamo attribuire alla poca presenza di conflitto nella nostra società sia quello di vivere in una società pacificata, dove i conflitti esistono ma tendono a esprimersi sotterraneamente.

 Il conflitto nella società democratica

In questo momento, dove il conflitto sociale, pare anestetizzato, incapace di esprimersi apertamente nella nostra società rispetto ad altre epoche, in cui il conflitto tra libertà e autorità si esprimeva violentemente in campo aperto. Tutto questo perchè la società democratica, nonostante ammetta di avere molti difetti, si vende come la migliore delle società possibili in esistenza, quindi di quelle realisticamente immaginabile, insomma la meno peggio. Secondo i difensori della democrazia, accettare questa società malgrado i suoi difetti, sarebbe accettare il minor dei mali, al contrario, metterla in dubbio o attaccarla ci porterebbe o sull’orlo del caos sociale o a una dittatura più “oppressiva”.

In fondo quasi tutti ammetteranno che è meglio vivere qui che sotto altri regimi dittatoriali in altre parti del mondo.

È stato detto che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora.” Churchill

 La democrazia pretende di fare gli interessi di un popolo o di una comunità, entità astratta che dovrebbe equivalere alla somma di tutti gli individui che ne fanno parte indifferentemente. Questa non è altro che una menzogna che partendo dall’astrazione dell’individuo, dei suoi interessi e della sua situazione sociale pretende accomunare tutti, mettendoli sulla stessa barca, in fondo siamo tutti esseri umani parti della stessa comunità: il conflitto che dovrebbe esistere tra ricchi e poveri, sfruttatori e sfruttati, viene così annullato o trasferito su un piano differente, quello della creazione di interessi comuni per cui è possibile trovare degli accordi, al posto di quello degli interessi di individui o categorie distinti. È inutile dire che questi interessi comuni sono spesso gli interessi di chi ci sfrutta e opprime e ha di più da guadagnare dal mantenimento della società attuale. Alcuni esempi di interessi comuni possono essere: il mantenimento della pace sociale, che permette uno sfruttamento quasi indisturbato da parte dei padroni in cambio di un miglioramento delle condizioni di sfruttamento rispetto ai paesi vicini. Il mantenimento della società democratica, dove il dialogo, l’accordo e il compromesso tra categorie antagoniste sono sempre possibili. L’economia, se l’economia va bene, tutta la comunità ne beneficia, che sia attraverso la creazione di nuovi impieghi, l’aumento dei salari o degli aiuti sociali dello stato. Sicurezza, una maggiore sicurezze ci dovrebbe permettere di poter vivere indisturbati e senza rischi la nostra vita.

I conflitti esistenti vengono quindi pacificati in nome di questi “interessi comuni superiori”, tutti diretti alla riproduzione della società attuale.

Una società che pretende essere basata sull’accordo tra differenti interessi, fortemente contrastanti, non può che essere una illusione, almeno fino a quando queste divergenze non saranno eliminate.

 Il ruolo della politica

In questa luce diventa chiaro il ruolo della “politica”, dove il conflitto al posto di essere gestito direttamente dai suoi attori, viene delegato a terzi (politici, partiti, associazioni, …) che si occupano di gestire questo conflitto all’interno della sfera democratica del dialogo fra le parti e quindi dell’accordo capace di accontentare il più possibile tutti o, se questo non è possibile la maggioranza dei propri membri.

Lo scontro tra forze politiche diventa uno scontro di rappresentanza, uno spettacolo fittizio dello scontro reale tra interessi differenti, questo scontro simulato ha tra le sue conseguenze di abbassare il livello dello scontro reale e di fare in modo che questi conflitti vengano mediati e filtrati da istituzioni statali o parastatali togliendone il controllo ai diretti interessati.

Sembra dunque possibile che sfruttati e sfruttatori possano vivere fianco a fianco nel nome di un “bene comune” (popolo, nazione, comunità….), per cui è possibile accordarsi, al posto di essere in lotta per il mantenimento o per la fine dello sfruttamento e dell’oppressione.

Il dialogo

Proprio per queste ragioni, noi anarchici rifiutiamo la politica. Noi non crediamo che il dialogo tra interessi di oppressi e oppressori sia possibile, come non crediamo che questo debba nemmeno esistere. Tra chi vuole la libertà e chi vuole negarla in nome di interessi superiori non può esserci niente in comune.

Se vogliamo arrivare a una società senza sfruttamento e senza autorità, possiamo arrivarci solamente attraverso l’espressione senza compromessi di questa divergenza di interessi tra le parti e quindi attraverso un conflitto che può risolversi o nel raggiungimento della libertà o nella continuazione dello sfruttamento. Per questo non possiamo accettare né dialogo, né compromessi con i nostri sfruttatori e i nostri oppressori, per questo ci troviamo in guerra con essi fino a che non esisteranno più.

Chi pretende invece che un dialogo sia possibile, di anestetizzare (anche in buona fede credendo che questo possa fare avanzare la causa della libertà) questi conflitti non fa altro che contribuire al mantenimento dello Status quo attuale, e alla riproduzione delle condizioni attuali dello sfruttamento.

 

[Aufruhr n.1] Libertà, Novembre 2012

Traduzione dell’articolo «Freiheit» del primo numero di Aufruhr [Tumulto], giornale d’agitazione mensile di Zurigo.

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Come molti, se non quasi tutti, siamo per la libertà. Ma allora, visto che la nostra società pretende basarsi sul principio di libertà, perchè ci troviamo e ci troveremo sempre in conflitto con essa?

Questo conflitto, che del resto è sempre esistito in forme differenti, nasce da una comprensione radicalmente differente del significato di libertà; parola che, nel corso della storia, ha sempre destato confusione in quanto ha assunto significati differenti a seconda del contesto sociale e delle persone che l’hanno utilizzata.

Se volgiamo lo sguardo al passato, possiamo vedere, come nell’antichità, nelle società greca e romana, la libertà corrispondeva per una parte della popolazione con il concetto di cittadino (della polis o della Repubblica). Un uomo considerato libero era quindi un uomo che partecipava alla vita politica della società; ad esempio nelle polis greche, fonti d’ispirazione della nostra moderna democrazia, l’uomo libero partecipava alle assemblee, funzionanti con un sistema di democrazia diretta, per decidere del destino della propria città. L’uomo libero per esistere necessitava però del suo opposto, lo schiavo: un individuo che non essendo considerato un essere umano non poteva decidere della propria vita e che tramite il proprio lavoro liberava l’uomo libero del tempo necessario per “fare politica”. Per un’altra parte della società, quella degli schiavi, la libertà assumeva invece un significato differente. Questo significato non stava nel diventare cittadini, ma al contrario nella negazione della propria condizione di schiavi, una negazione che implicava anche la negazione dello stesso concetto di cittadino; esso stava nel riottenere la facoltà di poter decidere della propria vita. Queste idee contrastanti di libertà furono alla base delle insurrezioni degli schiavi che hanno caratterizzato soprattutto l’epoca romana, in cui per gli schiavi gli unici modi di negare la propria condizione, erano o la fuga o la ribellione aperta, armi in mano, contro la società.

Anche se sicuramente molte cose sono cambiate, al giorno d’oggi ci troviamo di fronte allo stesso dilemma: da una parte il significato di libertà viene definito all’interno della nostra società come possibilità limitate e garantite dalla stessa società attraverso leggi generali o una morale comune. Possibilità, che, come si può facilmente intuire, dipendono dalla nostra posizione all’interno della società (posizione sociale, prestigio), che aumentano con la nostra disponibilità di denaro e con il nostro status sociale: chi è più ricco ha più possibilità (materiali, culturali e di svago), differenti da quelle di chi non possiede niente che viene condannato alla sopravvivenza e all’assenza di vere e proprie scelte. Chi non accetta la propria miseria e si ribella contro l’attuale stato delle cose, viene isolato e imprigionato. La libertà degli uni significa quindi la privazione di libertà e lo sfruttamento degli altri.

Dall’altra parte invece abbiamo la libertà, di cui parliamo noi anarchici, che è qualcosa di totalmente differente. Non si tratta di un aumento delle scelte possibili, ma al contrario, dell’espressione di tutte le possibilità, possibilità differenti, che possono schiudersi nel rapporto con gli altri. Si tratta quindi di un assoluto e non un concetto quantificabile, una totalità o, in parole più semplici: o si è liberi o non lo si è. Non si può essere più o meno liberi, come per uno schiavo, una catena più lunga non può significare essere meno schiavo. La nostra libertà è qualcosa che non può essere rinchiuso all’interno di leggi e regole valide per tutti, ma qualcosa che nasce dal libero accordo tra individui.

Com’è facile comprendere, una libertà simile non può esistere senza mettere in questione il mondo in cui viviamo ogni giorno e scontrarci con esso. Questa è la stessa constatazione che hanno fatto, più di duemila anni fa, Spartaco e i suoi compagni d’avventura mentre si ribellavano contro la Repubblica romana. Una lezione dal passato, da cui forse possiamo ancora imparare qualcosa oggi…

Un compagno d’avventura di Spartaco

 

 

[Aufruhr n.1] Editoriale, Novembre 2012

Traduzione dell’editoriale del primo numero di Aufruhr [Tumulto], giornale d’agitazione mensile di Zurigo.

Editoriale

«Cento volte respinti, intraprendiamo per la cento e unesima volta l’attacco. Veramente! questi sono cattivi profeti, che proclamano la morte dell’anarchismo! Finché esisteranno sfruttamento e servitù, esso non potrà morire .» Queste sono le parole con cui un giornale anarchico iniziò la sua pubblicazione più di cent’anni fa a Zurigo, e queste sono le parole, con cui anche noi vogliamo iniziare il nostro Aufruhr (tumulto, rivolta). I tempi sono cambiati, e con essi anche le forme di servitù, tuttavia la nostra idea senza compromessi di libertà è rimasta la stessa. Una libertà, che è inconcigliabile con qualunque forma di dominazione, sia essa dittatoriale o democratica, brutale o sottile, materiale o mentale. Ed è questo desiderio ardente di libertà, non come lontano ideale, ma qui e adesso, che ci porterà eternamente sul sentiero della ribellione…